Qualche tempo fa, durante una cena con il filosofo e traduttologo Jean-René Ladmiral, condita dai suoi brillanti aforismi e da giochi di parole concettuali in uno dei deliziosi ristoranti parigini da lui abitualmente frequentati, la conversazione cadde sulla nostra passione per i film western. Dopo aver ascoltato le sue originali osservazioni, fulminanti come pallottole sparate da una Colt a proiettili filosofici, gli proposi di intervenire ad un mio convegno sulle forme espressive del western americano e italiano presso la nostra Università di Paris Nanterre. Inutile dire che il suo intervento fu un grande successo stimolando una serie di riflessioni tra i partecipanti al simposio. Ne venne fuori un saggio pubblicato in francese sul numero 50 della rivista TILV nel maggio 2011 con il titolo originale da me suggeritogli: Eros et Thanatos.

  

Questo saggio ora tradotto e pubblicato per la prima volta in italiano, inaugura la nuova collana di studi sul cinema intitolata «Film Boulevard», da me diretta per Classi edizioni. «Film Boulevard» perché come all’uscita dal cinema ci si incontra su di un boulevard ideale per parlare dei film che abbiamo visto e di come li abbiamo visti. L’ambizione è di incrociare in maniera talvolta trasversale, il pensiero degli addetti ai lavori con quello di studiosi e persone che il cinema lo vedono e lo sentono secondo le proprie affinità e formazioni culturali. Ladmiral, dal suo punto di vista epistemologico, concentra il suo discorso sulla pulsione di morte, al limite di un godimento erotico, che attraversa il western, facendone la forma epica forse madre di tutte le forme di azione cinematografica violenta tra le più affascinanti della nostra cultura occidentale, ancora più marcata nell’accezione inglese come «Western Culture». Sergio Leone sosteneva che i protagonisti dei western sono i discendenti degli eroi di Omero, con un cappello Stetson sulla testa e una Colt al posto della spada. Il regista romano ha dato nuova linfa al western mettendone in risalto le sue componenti più caratteristiche come la lunga fase precedente il duello finale, simile, per Ladmiral, a lunghi preliminari erotici prima di un istantaneo orgasmo di morte punteggiato dalla musica funebre di Ennio Morricone.

 

Sono eroi, quelli del western, abitanti di una zona desertica della coscienza tra vita selvaggia e civiltà, tra la memoria e l’oblio, tra il bene il male. Si trovano in una sorta di frontiera del coraggio e della paura, sempre tra la vita e la morte. Uomini d’azione pronti a morire anche se sono ormai dei guerrieri feriti o degli antieroi. Sono dei misteriosi stranieri che vengono da non si sa dove e ripartono in un orizzonte indistinto di spazio e tempo e per questo ci affascinano. Shane-Alan Ladd, cavaliere della valle solitaria del film di George Stevens, l’uomo senza nome-Clint Eastwood della trilogia del dollaro leoniano e Pike Bishop-William Holden del Mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, sono una rappresentazione di ciò che Lacan chiamerebbe una risposta della realtà all’utopia dello steccato delimitato da una fattoria o da una città come oasi di tranquillità. Portano con il loro passaggio e con le loro armi, una violenza che il movimento del cinema stesso, inteso come violenza sulla staticità della fotografia, riesce a esaltare perfettamente. Anche le inquadrature, tra campi lunghi e primissimi piani, nella «cavalcata» del montaggio, non sono una semplice nozione tecnica della sintassi cinematografica ma parte centrale del più ampio percorso narrativo del film western. Così come ci ricorda ancora Ladmiral, l’immensità del mondo sembra ridursi alle due dimensioni dello schermo dove si muovono le immagini, in un universo sempre più virtuale nel quale si trova l’uomo moderno, come se grazie al western potesse congedarsi dal principio di realtà. Ladmiral vede il western proprio come spettacolo della morte e della maniera di morire dell’eroe. In questo modo si arriva allo scontro finale come epilogo e realizzazione di una vendetta che si manifesta nello sparo di una pistola che diventa quasi una didascalia sonora di questa morte a distanza quasi cercata con una pulsione al godimento, completa-mente diversa da quella dell’epica classica, piena di sangue, data dalla spada con una lunghissima agonia. Anche lo spazio in cui queste morti del western si realizzano a colpi di pistola, sono il segno della fine di un mondo alla frontiera tra tecnologia e prateria. È qui che l’eroe sceglie di morire e di dialogare eroicamente e eroticamente con questa morte accettando la virilità del momento decisivo spinto oltre ogni limite.

  

Gius Gargiulo 

Parigi, 12 maggio 2017